” …gli innamorati conoscono soltanto la paura di smettere di essere plurale.”
Ci sono due innamorati, siedono a quel tavolino, li vedete?
Lui è un ragazzo bellissimo, non c’è che dire: gli occhi grandi, la giacca in tweed, le mani femminili. Lei è molto meno bella: i fianchi larghi, il fard a copertura delle macchie, le sue umili origini. È il 1948, e questo è il loro bar preferito.
Lei non dovrebbe essere lì: se il padre la vede, le spezza un bastone sulla schiena; se il paese lo sa, la famiglia finisce disonorata; se i professori scoprono che marina scuola per fare la zoccola, perderà l’anno.
Ma l’amore non è mai peccato, né amare somiglia mai a sbagliare, né chi ama contro la volontà dei padri è mai una zoccola.
È una mattina di chissà quanti anni fa, e questo è il tavolino del loro bar preferito.
Ci vanno sempre, ci vanno. Ci vanno quando fuori piove e sono in due sotto un ombrello scassato; ci vanno quando a lui quel bastardo del padrone non paga gli straordinari nei campi; ci vanno quando lei vuole andare all’università ma la famiglia glielo vieta perché le femmine non devono studiare; ci vanno quando lui le consegna un anello e le dice mi vuoi sposare.
Le mani di lei che scivolano lungo le funi dell’altalena, il the che è caldo ma non quanto i loro desideri, il cuore che esplode.
Che esplode nel loro bar preferito.
Cinquanta metri quadri in periferia non sono il massimo, e neppure il bagno senza finestra lo è, solo che i soldi non bastano per una casa più bella, e dopotutto l’importante è stare insieme.
Al loro bar preferito lui, di ritorno dai campi, per risparmiare ordina il the solo per lei, ma lei gliene lascia sempre metà: lui si arrabbia, le dice che è scema, non le parla per un po’, alla fine lo beve.
Ogni tanto, specie quando sono al verde, si siedono pochi minuti al loro tavolino senza consumare, e per questo vengono richiamati, ma le occhiate dei baristi non li spaventano perché gli innamorati non conoscono paura, gli innamorati corrono in bici accovacciati e senza freni, gli innamorati conoscono soltanto la paura di smettere di essere plurale.
Ma questo, a loro, non succede. Succede solo che sulle altalene si mangiano con gli occhi; succede solo che di notte, senza termosifoni, c’è freddo; succede solo che contro il freddo, sotto le coperte, nascono due figli.
I colletti dei grembiuli da scuola stirati come Dio comanda, le notti con le divisioni a due cifre, la speranza di un futuro più generoso, le unghie di lui sporche di terra di ritorno a casa, le dita di lei solcate dalla candeggina: il tempo vola, quando immoliamo la vita ai nostri figli.
Vent’anni se ne vanno così.
Una vita di privazioni e sacrifici, solo poche concessioni, una su tutte: gli anniversari al bar delle altalene. Le mani di lei sulle funi. Il the caldo che disegna comignoli. Ti ricordi quando?
Poi i figli se ne vanno, fanno successo, non hanno più bisogno di te. Gli armadi rimangono ordinati, le federe dei guanciali senza grinze, la televisione sempre accesa perché qualcuno dovrà pur farti compagnia.
Anche il mondo che conoscevi se ne va: ti vengono a togliere il telefono, la pelliccia che hai preso a rate per dimostrare che non sei una morta di fame ora è fuori moda; ora anche la carne dal macellaio fa male.
Per ultimo se ne va l’amore, se ne va per un colpo apoplettico mentre è nei campi a faticare, se ne va che manco te ne sei accorta, che manco gli hai detto ciao, io ti amo per sempre, te lo devi ricordare, va bene?
E per i vecchi rimasti soli esistono i pensionati. Esiste che tu prendi tua madre, ormai vedova, e la metti dentro una clinica che costa un sacco di soldi perché lei deve essere trattata come una regina. Esiste che lei invecchia male e che le viene l’Alzheimer, la malattia che prende il presente e lo vernicia di passato.
Ora è il 2020, e di anni ne sono trascorsi più di settanta dall’inizio di questa storia. Lui, con la giacca in tweed, è in cielo; lei, con le macchie dietro il fard, è in terra ma con la testa in cielo.
La domenica è la giornata della passeggiata: un infermiere – sigaretta e Crocs – spinge la carrozzina, di quando in quando riceve domande sconnesse e bizzarre su presunte altalene dentro un vecchio bar. ‘Sta vecchia rincoglionita quante cazzate che dice!
Ma quel bar esiste veramente, anche se ha cambiato nome. Ma quel tavolino con le altalene esiste veramente, anche se gli hanno sostituito i piedi. Ma a quel tavolino i due innamorati siedono veramente, anche se i sedili sembrano vuoti, perché nei posti in cui siamo stati felici noi rimaniamo per sempre. Gli altri non ci vedono, noi sì.
di Dario Levantino da FB