“Dove la Storia diventa leggenda
e la Cronaca svapora nel mito”
Qualcosa sui Lehman
Stefano Massini
Da Roggero, culla di tutte le pratiche libresche di Santa Teresa di Gallura, luogo di culto per ultras della lettura, Angelo Manca, con garbo, perizia, conoscenza di strategie di marketing, in continuo cordiale feedback con nuovi e vecchi clienti, si muove tra i libri per professione certo, ma anche per passione.
Senza pregiudizi snob, insofferente dell’intellighenzia radical chic, ospita bipartisan nel suo vasto spazio commerciale i grandi brand editoriali, gli scrittori impegnati, o semplicemente impegnativi, quelli in auge per stagionale liturgia feticista, senza mancare di far scouting nella piccola e media editoria, tra autori e storie che coltivano il culto del patrimonio immateriale della Sardegna.
Per esempio, Mario Gregu, già pubblicato da Salani.
Autore vintage alla Basile, di esperienza diretta e memoria vigile, cultore di parole e affascinato da storie locali di stretta osservanza amarcordiana/gallurese, collezionista, divulgatore di oralità, di un autobiografismo che ambisce a rappresentare la dimensione collettiva della Gallura a.K (ante Karim Aga Khan).
Le scarne note biografiche lo raccontano, novello Rémi alla Malot (drammaticamente reale), orfano, abbandonato, senza famiglia, capraio, zappatore, carbonaio.
Quando ecco che l’incarico di percorrere la Gallura, stazzo per stazzo, con la statua del santo patrono in spalla, per raccogliere le elemosine per la Chiesa, pure lei in affanno, gli offre l’occasione di conoscere e appassionarsi allo storytelling locale, rigidamente orale tra una popolazione analfabeta, unica forma di intrattenimento serale e festivo, ad opera di nostrani aedi di corti simil/omeriche.
Migrante, operaio con il gusto delle fole, raccolte da sempre in quadernetti, custoditi per non perdere memoria del suo mondo, Mario Gregu ne fa, come da tradizione, esclusivo uso orale tra amici e conoscenti, fino a quando qualcuno di questi, cogliendo il fascino e l’interesse, gliene suggerì la pubblicazione.
Si può apprezzare o meno il genere, la serialità, ma il contesto e le contingenze che evocano le fole dei ” canzunadori di linga gadduresa”, non mancano di suscitare curiosità e interesse, anche sull’onda del successo del fantasy, alimentato dalla versione filmica di alcuni episodi de Lo cunto, firmati da Matteo Garrone .
Affidandosi ad un sardo tradotto in italiano di non risolta fusione e di scabra resa, con il gusto della battuta in gallurese ( all’occorrenza in spagnolo) la terminologia evocativa, la toponomastica dettata dagli elementi naturali (come evidente in Malaittu, primitiva denominazione delle Bocche di Bonifacio), Mario Gregu offre una ricca galleria antropologica di personaggi, esemplificativa di un’epoca precedente all’omologazione culturale esercitata dalla televisione, in una Sardegna alchemica, di paesaggistica evidenza e riconoscibile bellezza. Popolata da piccoli spadaccini, la cui fama arriva a disturbare il re di Spagna, corsari spietati, tesori nascosti, bambini comprati e/o rubati, circensi, banditi, pastori, famiglie allargate, papi e re, sotto l’ombra dell’Inquisizione, presente anche nel più remoto degli stazzi galluresi.
Se Carlo Bavagnoli, con il suo Sardegna 1959 L’Africa in casa, offriva una documentazione fotografica di incontrovertibile drammatico realismo, Gregu, avvalendosi della tradizione popolare, con gusto artigianale della parola, affida al potere comunicativo della fola il compito di far sopravvivere e salvaguardare tasselli di un mondo scomparso, ingaggiando battaglia contro un nemico tenace e inquietante: la perdita di memoria collettiva.