Una Petrosinella 2.0, questa Lulù di Carmen Pellegrino.
Non chiusa nella torre della favola di Basile, ma Di qua dalle mura per l’incolpevole svagatezza della sfortunata inabile sua Pascadozia, Lulù resterà a lungo alla mercè di una realtà imposta da sfavorevoli circostanze, pur condivise per incrollabile senso del dovere, in magica simbiosi con la natura, fino a quando non riuscirà a dissipare (alla maniera di Amelia Rosselli) la montagna e la fanciullaggine che le impediscono di avanzare.
Come in una fiaba, la Lulù di Carmen Pellegrino, ammaliata dal magico, attenta lettrice del reale, stregata dal sotterraneo, sedotta dal visionario progetto paterno di una Città dell’Ignoto, chiusa in una torre di rassicuranti seppur censorie abitudini, e felicemente immersa nella stupefacente bellezza ambientale degli Alburni non ancora turbata da pale eoliche, riannoda, senza vincoli cronologici, i fili della sua vicenda personale e li intreccia agli eventi nazionali, alle problematiche sociali ambientali, al dolore di generazioni disilluse, al naufragio del riscatto del Meridione.
In questo Se mi tornassi questa sera accanto l’Autrice disocculta* la realtà e intrude* stralci di vita personali, l’innocente servizievole fiducia nella mamma frutto di un amore feroce*, l’immensa ammirazione per Giosuè Pindari, suo padre/ padrone sia pure con le migliori intenzioni, socialista appenninico*, caprone* e zotico*, duro e puro, della schiera dei Garrone, ripetutamente succube dei molto più numerosi Franti, testardo lepidottero senza via d’uscita*, inguaribilmente affetto da mutacismo* ( * tanto per cogliere alcune delle espressioni linguistiche che vivacizzano il testo della Pellegrino e sostanziano le folgoranti annotazioni).
Cazziosissimo, aggiungiamo noi, con il vitale folletto a nome Lulù che gli corre per casa, vittima sacrificale di egoismo e utopistiche speranze, che neanche il detonatore di Tangentopoli spazza via dalla sua fideistica adesione al socialismo.
Sempre pronto a ripartire davanti ad un carico di mele che marciscono, un olio che irrancidisce, lui, che credeva d’essere Quarto Stato si scopre, tanto amaramente quanto tardivamente, Terzo Mondo, goccia negra dell’umanità*.
Senza la goliardia di Romas Lileikis, artefice della Repubblica di Uzupis, ha tuttavia un guizzo di humor nero e detta il suo epitaffio che la dice lunga sul livello della disillusione:
“Non risorgerà perchè ne ha avuto abbastanza”.
A lettura ultimata, mi sembrerebbe più appropriato e generoso il camusiano:
“Fui posto tra la miseria ed il sole, ad uguale distanza.
La miseria m’impedì di credere che tutto è bene sotto il sole e nella storia;
il sole mi insegnò che la storia non è tutto”.
Ed è così che, sognatore perinde ac cadaver, al tempo di Internet, affida gli accorati messaggi di riconciliazione con Lulù alla corrente di un fiume, e la cornice della narrazione, tra vero e verosimile, lo consente e rende superfluo qualsiasi considerazione ed ironia sul nonsenso del mezzo comunicativo, ricambiato peraltro dalla figlia, in un empito di ritrovata sintonia sentimentalfamiliarottimistica di pura matrice appenninica.
Un libro che fa riflettere (assai) sul rapporto padri/figli ed evidenzia la tremenda incongruenza tra intenzioni ed esiti, accomunando, nel tragico fallimento educativo, personaggi letterari che più lontani non potrebbero essere per estrazione sociale ambientale culturale, tipo appunto il Giosuè Pindari della Pellegrino e il Seymour Levov di Roth.
Lulù non ha, fortunatamente, la distruttiva esaltazione della Merry di Pastorale americana, ma, quando prende coscienza di sé, anche lei “non ha bisogno di un meteorologo per sapere da che parte tira il vento” come cantava Bob Dylan in Subterranean Homesick Blues.
Altrettanto determinata a scioglier lacci e lacciuoli, che le avevano alienato la gioia di vivere e di sperimentare, se ne va per altri fiumi, dei quali conosce i segreti per averli appresi, bambina, in entusiasmante apprendistato dal padre.
E i fiumi la accolgono fornendole anche una casa delle dimensioni e dell'(in)consistenza di quelle delle favole.
Ospite un principe a nome Andreone, che sa andare e tornare, prendere le distanze ed annullarle, in continua dolorosa sperimentazione, capace di governar piene metereologiche e sentimentali, e soprattutto in grado di trasmetterle la possibilità di coniugare appartenenza e libertà.
Il sogno infantile di aprire una bottega per aggiustar pensieri rotti, è assolutamente realizzato in questo libro della pensatrice Carmen Pellegrino, che, senza uscire dal mood magico della sua poetica, sembra suggerire al lettore
“Che n’ora di buon puorto fa scordare cient’anne de fortuna!”
Giambattista Basile – Lo Cunto de li Cunti- Petrosinella