C’è l’operoso, benchè inane, lavorio degli operai di Bruegel, il rigore visionario delle geometriche scale di Escher nella immaginifica
Torre di Babele di Paolo Camiz
in mostra alla Triennale ed. 2017 curata da Sabina Fattibene.
Rottamati e privati del loro valore d’uso, treppiedi da camino, ferri di cavallo, distanziatori ferroviari, chiodi, molle voltafieno assurgono ad opera artistica ed arricchiscono, in materico ferroso slancio, l’iconografia della mitica Torre.
La libertà creativa di Camiz non si arresta neanche davanti alla Genesi (11,1-9)
” Venite, costruiamoci una torre, la cui cima tocchi il cielo …”
Come andò a finire, secondo le più accreditate fonti, ognun sa.
E certo sembran saperlo gli omini di ferro di Camiz che, incapaci di accordi, condannati come Tantalo alla ripetività dei gesti, letteralmente inchiodati al loro destino, han inscritto il fallimento nel DNA più che nella punizione divina.
Non manca, come spesso accade nelle opere di Camiz, il piglio ironico capace di (s)materializzare il mito a colpi di elettrosaldature, e il risvolto malinconico della contemplazione dell’affaccendarsi umano, sul quale incombe, persino sulla cima della più alta torre, l’avverso jeu de dés.