Cresciuta a pane e Palahniuk, l’Adalgisa flirta (bene) con i Cannibali e affonda la penna nei meccanismi mentali di quei vicini perfetti, madri padri affettuosi, figli amorevoli, fidanzati impeccabili, che una mattina si alzano e fanno a pezzi con lucida follia e alienante tenacia gli oggetti del loro dis-amore.
Bevono Latte UHT Milkie, calzano All Star, sognano famiglie rigorosamente mulinobiancheggianti, vanno a caccia di offerte 3×2, studiacchiano su mobili in vero compensato, coltivano sogni e negano bisogni, mentore la TV sintonizzata su immancabile soap opera, inseguono la presunta catarsi risolutiva costruita passo dopo passo in maniacale solitudine.
Prendono diligentemente il treno regionale che puzza di sobborgo brasiliano, sono ecologisti di stretta osservanza massimo con le creature-spinaci, hanno (bi)sogni elementari che negano e perseguono in schizofrenica tensione alimentata dal mantra commercial/esistenziale del soddisfatti o rimborsati.
Affetti e afflitti da superficiale buonismo planetario distruggono e si autodistruggono (s)offrendo punti di vista inusuali sulle cose della vita.
Negano il loro disagio fino a farlo esplodere in aberranti scelte, loro che sfondati di codeina con lo sciroppo per la tosse, e se vuoi anche un bel pò ortoressici, hanno costruito il loro concetto d’amore, di vigoressia astrattamente enfatizzata,
secondo i rigidi dettami del consenso sociale.
Vera sfida alla resistenza psicofisica, la raccolta di brevi racconti ricorda l’urticante sconcerto prodotto da certe paginette di Guts e innesca dispera(n)ti interrogativi sul nostro stile di vita.
Senza troppe premesse, l’Autrice entra nel meccanismo mentale dei personaggi che non si rendono conto di quello che stanno facendo, evocando così la tragica
Banalità del Male teorizzata da Hannah Arendt,ahimè suffragata
da quotidiani aberranti fatti di cronaca.
Tra ripetizioni ossessive, spot-pensiero in rigoroso discorso paratattico,
Ada Marrocco segue l’ossessivo lavorio mentale dei suoi antieroi e intona un efficace Requiem al consumismo.
Alla fine di Supermarket ed altri racconti indigesti, come dice una delle protagoniste “Mi sento di non sentirmi più”.
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