Si sa che l’espiazione si addice alle donne, e si sa che han biblicamente molto da espiare.
Anche etimologicamente.
Lo sottolinea, con natalizio articolo di grande rilevanza, Ceronetti, intellettuale di punta de La Stampa.
Ma anche premiato, in una qualche stazione balneare italiana, “Inquieto dell’anno 2013“.
Infatti lo Scrittore non si tiene e depone sotto l’albero un dotto articolo salvadonne. Pescando nel suo ricco e colto database, Ceronetti da una bella lezioncina alle sprovvedute signore e signorine, che hanno ritenuto di indicar con la parola Femminicidio le violenze di cui sono oggetto in modo esponenziale.
Profondamente sbagliato, inelegante, etimologicamente scorretto.
Le poverine, ataviche incolte illetterate, avrebbero potuto/dovuto consultare qualche accademico in grado di suggerire etimo più consono.
“Si tratta di eliminare l’orripilante femminicidio, che le abbassa a tutto ciò che, in natura, è di genere femminile, dunque zoologico, col destino comune di figliare e allattare. Ma, per noi, se non siamo bruti, donna significa molto di più. L’etimologia latina ne restringe il ruolo allo spazio domestico (domina); il Medioevo occidentale l’ha inventata (o rivelata) ideale, e su quel trono è rimasta, anche quando trattata a frustate. Sopprimiamo femminicidio e facciamogli subentrare da subito ginecidio. Non è un neologismo bellissimo, ma appartiene alla schiera dei derivati dal greco classico (giné-gynekòs) che suonano in italiano benissimo: gineceo, ginecologia, ginecofobia, misoginia, ginecomanía, ginandria…”
Come non averci pensato prima?
Possibile che Ceronetti debba occuparsi pure di questo?
“Non pensavo mi toccasse di proporre il termine più accettabile per una cosa tanto ripugnante. Femminicidio va sbattuto fuori dal linguaggio, se ci sarò riuscito me ne farò un minimerito””.
Rinominate donne, rinominate e, se non possedete un colto e raffinato software, sapete a chi rivolgervi.
Anche se il termine ginecidio, con buona pace di Ceronetti , proprio nella sua algida accademica eleganza, pare avulso da qualsiasi suggestione di realistica emergenza sociale e passa la spugna sopra alla funzione contesto.
Non pago di aver liquidata la forma con solenne bocciatura semantica, l’Intellettuale si avventura in un delirio citatorio e con febbre evangelica nell’elogio del misogino, che, diciamolo, veramente ci mancava.
In un rutilante trionfo di stereotipi, si sottolinea quanto le donne abbiano fatto soffrire gli uomini, ancorchè di fama, tipo Euripide, Schopenhauer, Qohélet, Leopardi …nonostante sin dal Medio Evo siano state collocate su comodo trono
“.. il Medioevo occidentale l’ha inventata (o rivelata) ideale, e su quel trono è rimasta, anche quando trattata a frustate“….la donna, naturalmente.
Ora di troni e altari abbiam fatto cataste, nella distrazione accademica; ringraziamo per gli omaggi letterari, ma tendiamo dritte ad un cambio culturale, anche nel segno di sgradevolezze semantiche atte a turbare fini uditi.
Se fossero rimasti dubbi sul tono dell’articolo, Ceronetti per finire rivolge :
“un pensiero affettuoso a Tesla, che nel 1924, quasi settantenne, pensava che la più grande tragedia del nostro tempo fosse l’avvento del potere femminile, un combattimento escatologico delle donne contro l’uomo per subentrargli nel lavoro e nelle professioni, quindi capovolgendo i ruoli nella famiglia..”.
Un “rotolare di ruota senza carro”, per citare il miglior Ceronetti.