Quanto l’impatto della recessione e l’impostazione mercantilista dell’economia sia stata contraria al bene comune, devastante e disorientante per il nostro stesso modello sociale, ognun dolorosamente sa.
Lo sperimenta sulla pelle Casàl Giacomo, quando per giustificato motivo oggettivo, gli giunge, dall’azienda per la quale lavora, il preavviso di licenziamento, sia pure con molti cordiali saluti.
Bel pugno nello stomaco per il protagonista e per il lettore.
Così, in brutale concisione, Antonio G. Bortoluzzi, fa deflagrare l’evento che porterà Giacomo a sbobinare la vicenda umana sua e della comunità di appartenenza, scardinata dal devastante influsso dello sviluppo tecnologico
Quasi un saggio, non fosse per il filtro di poetica memoria, attraverso il quale appare e scompare il piccolo mondo antico della montagna, senza gozzanerie ma in autentiche rusticherie.
Con la filologica tenerezza di chi è stato testimone di quel che racconta, l’Autore ricostruisce l’universo di Curva Càsal, in tappe ritmate dalle stagioni dagli eventi naturali dai riti quotidiani dai rigidi ruoli familiari dalle parche abitudini dai giochi dai gesti dalla tradizione dai secolari pregiudizi, sotto gli occhi di madri dagli occhi duri come biglie, fino all’irrompere tra le montagne innevate, del sior Bianchin, caimano ante litteram.
Bortoluzzi fa calare la sua scorrevole carrucola sintattica nel pozzo della memoria e tira su la malinconica epopea del cavallo Bandiera Rossa, dell’agnellino Neve, di amici dispettosi o sussiegosi, di nascite e funerali, di fatiche e futilità, tipo le vacanze.
E ancora, l’emozione incontrollata del ricordo del nonno, che se n’è andato senza aver mai visto il mare.
La scuola inadeguata, in grado di scoraggiare qualsiasi curiosità, macellare féde e pite, azzerare il patrimonio culturale di una comunità, nonostante la volenterosa Sovietica, con quella passione per il recondito da cogliere più nei quotidiani che nei libri, per manovrare l’armamentario concettuale del marxismo, allora in voga.
Il sogno americano che irrompe con Tex Willer, con cui nessuno può competere, l’ebrezza del motorino, delle riviste pornografiche, sicura anticamera di cecità; Marcella Bella scalzata da La guerra di Piero, la prima ragazza, la casa, la 500…
Il deserto degli affetti quando ci si scopre estranei pur sostando 9 ore sotto lo stesso capannone, grazie ad un modello di sviluppo che ha viaggiato più veloce della luce, producendo una catastrofe sociale con più vittime di quelle del Vajont, tra Cortina e Curva Càsal.
E non solo.
Con il pregio della chiarezza e della semplicità, il romanzo di Bortoluzzi avvia profonde riflessioni sul tempo e sul Tempo.
Per Giacomo come per Hans Castorp ” il tempo non è quello dell’orologio, è quello dell’erba che cresce senza che noi ce ne accorgiamo”
Anche se dubito fortemente che Giacomo, quello di Bisonte Nero, abbia mai letto La montagna magica.
Vita e morte della montagna è un romanzo che non folkeggia e lo conferma l’urticante violenza della scena finale, simbolo di un bisogno e di una ricerca irrisolta, che lascia aperta la possibilità ad un ipotetico ritorno alla terra o di un’inane violenza contro il se stesso, che ha maledetto la terra e mandato affanculo gli avi.
One thought on “Vita e Morte della Montagna di Antonio G. Bortoluzzi.”
Davvero tracciante e coinvolgente l’articolo. Porta diretto alla vicenda, la storia che può essere di tanti di noi. Farcela nella vita non è sempre facile e nemmeno agevole. Avercela fatta è una grande soddisfazione. Ma bisogna capire e mettersi nei panni di quelli a cui è andata male e, non sempre, per colpa propria.