Archivio della Scuola Romana
via del Babuino 89, Roma
ingresso gratuito
17 Dicembre 2012 – 31 Gennaio 2013
La luce di Ziveri accende l’Archivio della Scuola Romana, grazie al percorso ideato da Roberto Savi con una ricca attenta scelta di lavori dell’Artista, dopo il “mutismo dell’animo” prodotto dagli eventi tragici della guerra.
Nel salotto buono di Netta Vespignani, sede dell’ Archivio della Scuola Romana, nella centralissima via del Babuino, imperdibile visione d’insieme fortemente contestualizzata, alla maniera di Gadda, sulla suggestiva rappresentazione dell’Italia che (ri)partiva.
Giulio Carlo Argan scrive di lui: “Ziveri è un narratore al modo di Gadda: si nasconde nella mediocrità dei suoi personaggi e li lavora dentro, ricavandoli, più che dal vero, dal disinganno della fantasia frustrata. Opera sul linguaggio, come Gadda appunto, e non lo cambia secondo un programma di diversa strutturazione, ma con un processo di condensazione che rende l’immagine più carica e sostanziosa del vero. Il suo non è un realismo di dominio, ma di resa alla realtà, senza il cupo furore di Goya e senza la beatificante chiarezza di Vermeer. La realtà non si ama né si odia, ci si è dentro e non si può cambiarla né liberarsene (…).
Nella sua naturale modestia, insomma, Alberto Ziveri, non pensa il realismo come una concezione del mondo, ma come una categoria della pittura generalmente praticata dagli artisti che sono coscienti della povertà della loro condizione umana davanti all’enigma di una realtà di cui non li esalta la profondità o l’altezza, ma li sconforta la banalità senza scampo”
“Ziveri è stato un realista, cioè ha cercato di dare un senso concreto a questo che è il termine più abusato, frequente e frainteso della storia dell’arte. Fare realismo non vuol dire declamare sul bello o sul brutto del mondo, ma chiedersi non senza angoscia cosa sia mai quella realtà altra da noi di cui s’è fatta e si fa quotidianamente esperienza, e sempre ci si ritrova con le mani vuote. Non chi s’illude di possedere la realtà è un realista, ma chi se ne sente posseduto e cerca invano di liberarsi. Del realismo s’è stoltamente voluto fare, dopo la seconda guerra mondiale, un’insegna politica; ma certo Ziveri non ha mai preteso di aprirci gli occhi e additarci ad una strada, semmai ci ha associati al suo smarrimento e ai suoi furori repressi. Dei pochissimi realisti romani Ziveri fu senza dubbio il più taciturno e ostinato, ma anche il più vicino alla narrativa. Non poteva essere altrimenti, il realista non è un oratore, e poi non crede all’immagine, è pura illusione, preferisce fidarsi della parola e non ignora che è costituzionalmente ambigua, forse che non è ambigua anche la realtà? Non gli dispiaceva che io accostassi la sua condensata pittura alla prosa ponderata di Gadda: era altrettanto naturalmente garbata, ma d’un umor nero che talvolta un gesto di stizza incupiva e subito un barlume d’ironia schiariva. Fu sottilmente ironico anche con se stesso, Ziveri, forse perciò fu scarsamente capito. Com’era infine la sua pittura? Ovvia o inverosimile? Da quel realista che era, non ci spiegava nulla, silenziosamente guidava la nostra mano fino a sfiorare qualcosa alla cieca, perfino con qualche ribrezzo. Non ne sapeva più di noi,del resto; ma alla realtà che cercava tanto più si sentiva vicino quanto più l’ovvio gli pareva inverosimile e l’inverosimile ovvio”. 27.XI.1990 Giulio Carlo Argan.