Se l’autrice di “We need to talk about Kevin”, figlia di diplomatici, residente a New York-Londra, oggi, ha ritenuto opportuno firmare il suo libro con lo pseudonimo maschile di Lionel Shriver, convinta che gli uomini abbiano più chances, la vicenda della signorina Nobs proletaria a Dublino nel diciannovesimo secolo, appare straordinariamente attuale.
In uno scenario perfettamente ricostruito di miseria ambientale ed affettiva, Albert Nobbs ci porta all’ombra del tetro totemismo di ruoli sociali tanto ferrei da essere introiettati dalle vittime fino a far perder loro dignità e financo memoria della loro identità.
Al “Morrison’s Hotel, Dublino”, si consuma il rito della separazione di classe, dello sfruttamento del lavoro, ma più ancora della prevaricazione sessuale.
Il personaggio protagonista di una novella di George Moore, portato a teatro nel 1977 da Gleen Close, è la struggente sintesi di quanto la discriminazione sessuale possa determinare comportamenti patologici, ieri ma anche oggi, come le cronache documentano.
Nobbs ( il suo nome non lo ricorda nemmeno lei, ed è uno dei momenti più alti del film) dopo una violenza di gruppo si inventa una nuova identità e con ferrea volontà si annulla nel ruolo di perfetto cameriere, con il sogno di emanciparsi economicamente.
Eccellente la prova attoriale della Close, che ci ha messo faccia, scrittura, capitale, diventandone non solo protagonista, ma anche sceneggiatrice con Gabriella Prekop e lo scrittore John Banville, e produttrice con Bonnie Curtis e Julie Lynn.
Il film di straordinaria intensità emotiva coinvolge lo spettatore a prescindere dai programmi di esaltata immotivata illogicità che a volte appesantiscono il film.