La Mazzucco vola veramente alto e trascina con sé i suoi lettori, consegnandoci un grande romanzo storico, genere ostico per pubblico anchilosato da linguaggio televisivo ed aduso a testi di respiro facebookiano.
Dopo aver letto “La lunga attesa dell’angelo”, non si può più guardare un Tintoretto e le sue precipiti composizioni senza vedere, in filigrana, Marietta volteggiare, in una sequenza di intensità cinematografica, appesa “come un sacco di grano” ad una trave dello studio del padre.
Credo che i destini dei due protagonisti si giochino proprio in quella pagina: è lì che, per rintuzzare l’amazzonica femminilità di Marietta, la Mazzucco, con folgorante sintesi e insuperabile teatrale ambiguità, fa dire al Pittore :” Da oggi il mio maschio è questo”.
Lo dice per la verità più a sè stesso che alla figlia, che, con l’immediatezza dei suoi sette anni, senza sovrastrutture mentali, sembra già saperlo e, attorno a tale mantra, costruirà la propria esistenza sentimentale ed artistica, evocando, pur nell’unicità della sua esistenza, le donne pittrici del secolo, Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana e Artemisia Gentileschi.
Marietta, donna e pittrice, figlia ed amante, ha il piglio del personaggio che non si dimentica, grazie alla sua singolare vicenda umana di tormentata modernità per le contraddizioni e prevaricazioni che ne determinano il destino.
Mi è sembrata straordinaria la coincidenza tra la poetica letteraria della Mazzucco e quella pittorica del Tintoretto: là dove, sia per il Pittore che per la Scrittrice, sembra contare non tanto la volontà di rappresentare la verità storica, quanto piuttosto il desiderio di trasmettere l’emozione che quell’accadimento suscita.
La Mazzucco conosce perfettamente le insidie del romanzo storico e riesce a evitarle, grazie ad una rigorosa documentazione che sottende ma non soffoca il nucleo inventivo.
La davvero poderosa fitta certosina documentazione, raccolta dall’Autrice in un decennio di ricerche , è divenuta materiale di un parallelo poderoso saggio storico, “Jacomo Tintoretto e i suoi figli “, di ben 1000 pagine, di taglio strettamente documentaristico.
Solo in “Morte a Venezia” avevo trovato altrettanta fascinosa realistica resa della Città con i suoi umori ed amori , la sua sfrenata vocazione modaiola e necrofila, di cui Tintoretto, dilaniato da conflitti interiori, in eterna competizione con Tiziano, alla ricerca di meritati ma tardivi riconoscimenti ed emolumenti, è drammatico epigono.
Così la Venezia del XVI secolo con la sua rutilante intrigante cosmopolita teatralità, vive come in un ologramma, sfondo onnipresente per la coppia protagonista, così talentuosa e singolare, in grado di creare una straordinaria alchimia con il lettore.
La prosa è sontuosa e ascrivibile alla nostra migliore tradizione letteraria, in grado di rendere le minime fibrillazioni di una storia individuale e collettiva, passionale e appassionata, atta a far decollare la fantasia grazie ad un riuscitissimo mix di rigorosa documentazione ed empatica immaginazione.